Mobilitazione allevatori Coldiretti in piazza a Roma

Solo 1 stalla su 5 è sopravvissuta al regime delle quote latte che finisce dopo oltre 30 anni lasciando in vita in Italia solo 36mila allevamenti. E’ quanto emerge dal “Dossier sull’attuazione delle quote latte in Italia” presentato in occasione della mobilitazione degli allevatori della Coldiretti per la fine del regime quote latte, a Roma in Piazza del Foro di Traiano, con la pronipote della
mucca “Onestina”, simbolo della battaglia per il Made in Italy degli allevatori onesti che hanno resistito a disattenzioni, errori, ritardi e compiacenze che si sono ripetuti in questi decenni. All’inizio delle regime delle quote latte nel 1984 in Italia erano presenti 180mila stalle, con il latte che veniva pagato in media agli allevatori 0,245 euro al litro mentre i consumatori lo pagavano 0,40 euro al litro (780 lire), con un ricarico quindi del 63% dalla stalla alla tavola. Nel 2000 agli allevatori il latte veniva pagato 0,32 euro al litro mentre i consumatori lo pagavano 1 euro al litro, con un aumento del 213% dalla stalla alla tavola. Oggi la forbice si è ulteriormente allargata e il prezzo del latte fresco moltiplica più di quattro volte dalla stalla allo scaffale, con un ricarico del 317% con il latte che viene pagato agli allevatori in media 0,36 centesimi al litro mentre al consumo il costo medio per il latte di alta qualità è di 1,5 euro al litro. 



In altre parole il prezzo pagato agli allevatori è aumentato di poco più 10 centesimi mentre il costo per i consumatori è cresciuto di 1,1 euro al litro, a valori correnti. In altre parole - spiega la Coldiretti - oggi gli allevatori devono vendere 3 litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per un pacchetto di caramelle, 4 litri per una bottiglietta di acqua al bar, mentre quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette. Ma soprattutto, il prezzo riconosciuto agli allevatori - sottolinea la Coldiretti - non copre neanche i costi per l’alimentazione degli animali con effetti sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla sicurezza alimentare degli italiani. 
“Questa situazione è determinata dal fatto che in Italia esiste un evidente squilibrio contrattuale tra le parti lungo la filiera che determina un abuso, da parte dei trasformatori, della loro posizione economica sul mercato, dalla quale gli allevatori dipendono” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel denunciare che “questa situazione rischia di aggravarsi con la fine del regime delle quote latte e non è un caso che nel mese di marzo comportamenti scorretti nel pagamento del latte agli allevatori hanno portato prima in Spagna e poi in Francia alla condanna da parte dell’Antitrust delle principali industrie lattiero casearie, molte delle quali, peraltro, operano anche sul territorio nazionale dove invece c’è un “silenzio assordante” da parte dell’Autorità Garante delle Concorrenza e del mercato”. In Francia l’Antitrust il 12 marzo ha multato per un importo di 193 milioni di euro 11 industrie lattiero casearie tra le quali Lactalis, Laita, Senagral e Andros’s Novandie per pratiche anticoncorrenziali dopo che il 5 marzo scorso - sottolinea la Coldiretti - era intervenuto anche l’Antitrust iberico che aveva annunciato multe per un totale di 88 milioni di euro a gruppi come Danone (23,2 milioni), Corporation Alimentaria (21,8 milioni), Grupo Lactalis Iberica (11,6 milioni). Per questo la Coldiretti e il Codacons - conclude Moncalvo - hanno chiesto con un esposto di fare luce sugli abusi di dipendenza economica a danno dei produttori di latte fresco all’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
Ora a temere per la sopravvivenza sono soprattutto gli allevamenti da latte che risiedono nelle zone più fragili e sensibili del nostro Paese e dell’Unione. 3 cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri, mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall'estero, ma nessuno lo sa - denuncia la Coldiretti - perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta. Dalle frontiere italiane passano ogni giorno 24 milioni di litri di latte equivalente tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate, polveri di caseina per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. Complessivamente in Italia - sottolinea la Coldiretti - sono arrivati 8,6 miliardi di chili in equivalente latte (fra latte liquido, panna, cagliate, polveri, formaggi, yogurt e altro) che vengono utilizzati in latticini e formaggi all’insaputa dei consumatori e a danno degli allevatori perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. 
Ad essere spacciato come italiano è il latte proveniente in cisterne soprattutto da Germania, Francia, Austria, Slovenia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia e Olanda. In particolare si assiste ad un sostanziale aumento dell’import dei Paesi dell’Est (+18% Ungheria, +14% Slovacchia, +60% Polonia) e una diminuzione di quello importato dai Paesi dell’Ovest (-7% dalla Germania e -13% dalla Francia), secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Istat relative ai primi dieci mesi del 2014. Ci sono però anche le cagliate da impiegare nella produzione di mozzarelle che arrivano principalmente dai Paesi dell’Est per un quantitativo che ha raggiunto il milione di quintale all’anno ed è diretto per un terzo in Campania. E tra i Paesi esportatori la Lituania negli ultimi 3 anni ha triplicato le spedizioni in Italia. “In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e lo stop al segreto sui flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero è un primo passo che va completato con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. Ad oggi in Italia - continua la Coldiretti - è obbligatorio indicare la provenienza del latte fresco ma non per quella a lunga conservazione, ma l’etichetta è anonima anche per i formaggi non a denominazione di origine, per le mozzarelle e gli yogurt. Nell’anno dell’Expo, la chiusura delle stalle - conclude la Coldiretti - rischia di far perdere all’Italia il primato nella produzione di formaggi a denominazione di origine (Dop) che in quantità è addirittura superiore quella francese e contribuisce a forgiare l’identità nazionale in campo alimentare, con oltre 48 specialità riconosciute a livello comunitario sparse lungo tutto lo stivale.


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